Legambiente, in occasione della Giornata Mondiale degli Oceani dell’8 giugno, ha presentato i risultati dello studio sperimentale realizzato in collaborazione con l’Università di Siena (progetto Plastic Busters) sui rifiuti galleggianti e la plastica in mare.
In tutti i campioni analizzati sono risultati presenti dei contaminanti, in concentrazioni variabili in base all’area di campionamento, la natura del polimero, il grado di invecchiamento del rifiuto. Questo dimostra che il rischio creato dalle plastiche nei nostri mari non è legato solo alla loro presenza e agli effetti che hanno sulla fauna marina, ma soprattutto al fatto che possono veicolare le sostanze tossiche che vi si accumulano sopra.
L’indagine è stata condotta sui rifiuti di plastica galleggianti in mare – in particolare sacchetti, teli e fogli di plastica, che rappresentano la frazione più abbondante del marine litter monitorato nel 2017 da Goletta Verde – e sulle sostanze contaminanti come mercurio, policlorobifenili (PCB), DDT ed esaclorobenzene (HCB) .
“I dati di questo studio, il primo a livello del Mediterraneo, dimostrano con evidenza che il rischio connesso con i rifiuti plastici presenti nell’ambiente marino non deriva solo dalla loro presenza, ma anche e soprattutto dal fatto che fanno da catalizzatori di sostanze tossiche che finiscono poi nell’ecosistema marino, fino al rischio di entrare nella catena alimentare”, sottolinea il direttore generale di Legambiente, Giorgio Zampetti.
I rifiuti analizzati dai ricercatori dell’Università di Siena sono stati raccolti e campionati da Goletta Verde di Legambiente l’estate scorsa durante la navigazione lungo la Penisola. Per ogni campione, l’equipaggio dell’imbarcazione ambientalista ha preso la posizione GPS, scattato foto, compilato una scheda di campionamento, ed eseguito una procedura di raccolta e conservazione come previsto dal protocollo indicato dell’Università di Siena.